La sentenza sulla mafia non gli piace? Il governo cambia (per decreto) la norma. Gatta: "Inopportuno, rifletta bene"

 La sentenza sulla mafia non gli piace? Il governo cambia (per decreto) la norma. Gatta: "Inopportuno, rifletta bene"

 

di Federica Olivo

(ansa )

Lunedì in Cdm il testo per interpretare una legge dopo che la Cassazione, secondo l'esecutivo, ha messo a rischio dei processi per mafia. Il professore della Statale ad HuffPost spiega perché questa decisione è problematica (a partire dalla carenza del requisito d'urgenza del decreto).

 


Un decreto legge per "limitare i danni" (potenziali) di una sentenza della corte di Cassazione in materia di mafia. Non è un esempio da manuale di populismo penale, è ciò che il governo si accinge a fare nel consiglio dei ministri di lunedì. L'ultimo prima della pausa estiva. A sentire gli uffici che stanno lavorando alla materia, sembra che la misura sia qualcosa di iper tecnico che, però, serve a tranquillizzare il mondo dell'antimafia. "La sentenza che ha allarmato tutti rischiava di far finire processi in corso, soprattutto in alcuni contesti", è la giustificazione che danno da via Arenula al provvedimento che è sul tavolo di Palazzo Chigi e del ministero della Giustizia.  Ad analizzare bene la situazione, però, - pur non potendo ancora avere il provvedimento, che è in fase di limatura - sembra che l'operazione che il governo si accinge a fare sia qualcosa di molto di più. Perché introduce un principio molto scivoloso: quello secondo cui se la sentenza di un giudice non piace, si provvede a correggere la legge. Si provvede, in questo caso, a stabilire i contorni di applicazione della legislazione sulla mafia, ma per decreto. 

Ma per capire cosa è successo, e cosa sta per succedere, dobbiamo tenere a mente due periodi: settembre 2022 e luglio 2023. A settembre 2022 viene pubblicata la sentenza che, in sostanza, dice che un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose, o commesso al fine di agevolare un'associazione criminale, non per forza è un delitto ascrivibile in tutto e per tutto alla criminalità organizzata. La Suprema corte chiede che affinché il reato in questione possa essere qualificato come reato di mafia debbano essere dimostrati degli elementi di contesto. Il tema è delicatissimo, così come è delicata la legislazione antimafia. Inserire un illecito all'interno della cornice della criminalità organizzata significa - tra le tante cose - far sì che chi indaga possa usare strumenti d'indagine più invasivi, in particolare per quanto riguarda le intercettazioni ambientali. Quelle fatte con il trojan, per intenderci. Abbiamo chiesto a Gian Luigi Gatta, professore ordinario di diritto penale all'Università statale di Milano e direttore della rivista giuridica Sistema penale, di spiegarci di cosa trattava la sentenza e in cosa consiste l'intervento del legislatore:

L’intervento annunciato nelle scorse settimane dal Governo non riguarda il reato di associazione di tipo mafioso ma la disciplina delle intercettazioni – telefoniche, ambientali (con ‘cimici’), o informatiche (con trojan horse) – per i reati di criminalità organizzata. Non si tratta di ridefinire cosa sia la criminalità organizzata di per sé, come reato, ma di precisare quali siano i limiti entro i quali può applicarsi la disciplina speciale che regola le intercettazioni per i reati di criminalità organizzata. Per comprendere ciò di cui parliamo è necessaria una premessa. Il codice di procedura penale prevede che il giudice possa autorizzare le intercettazioni, richieste dal pubblico ministero nel corso delle indagini, quando vi siano “gravi indizi” di reato e le intercettazioni siano assolutamente “indispensabili”. Inoltre, per regola generale possono farsi intercettazioni ambientali, nel domicilio – può ad esempio essere piazzata una cimice sotto il tavolo della cucina di casa – quando vi è fondato motivo di ritenere che si stiano svolgendo attività criminali in quel luogo (ad esempio, si sta pianificando un omicidio o si sta tagliando la droga). Con una legge del 1991, modificata nel 2001, è stata introdotta una disciplina speciale per i reati di criminalità organizzata, che rende più facile autorizzare le intercettazioni. Bastano “sufficienti indizi” di reato, e la mera “necessità”, non l’indispensabilità, di ricorrere alle intercettazioni. Per piazzare cimici nel domicilio, inoltre, non occorre che vi si stia svolgendo un’attività criminosa. Nel bilanciamento tra tutela della riservatezza e tutela dell’ordine pubblico prevale la seconda, quando si tratta di criminalità organizzata. E qui arriva il problema: definire quali siano, agli effetti di questa disciplina derogatoria, i “reati di criminalità organizzata”. La legge non lo dice, usa questa formula generica. La sentenza della Cassazione, citata nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, ha adottato una interpretazione restrittiva e garantista ritenendo che reati di criminalità organizzata siano solo i reati di tipo associativo, con esclusione delle ipotesi di mero concorso in delitti non associativi aggravati dal c.d. metodo mafioso o dalla finalità di agevolare l'attività di una associazione mafiosa. Nel caso oggetto del giudizio la Cassazione ha quindi ritenuto inutilizzabili le intercettazioni ambientali realizzate nel domicilio di due coniugi in un procedimento per omicidio aggravato; non sussistevano gravi indizi ma solo fonti confidenziali e questo non è stato ritenuto sufficiente per autorizzarle. Non trattandosi di un procedimento per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso vanno applicate le regole ordinarie. Questo ha detto la Cassazione che ha annullato una sentenza rinviandola per una nuova valutazione alla Corte d’Appello di Napoli.

Le giurisprudenza - ripercorsa su Sistema penale dalla ricercatrice Gaia Tessitore - è ricca e non è sempre stata univoca nel corso della storia. Della materia, peraltro, si sono occupate in passato anche le sezioni unite della Cassazione e a nessun legislatore è venuto in mente di cambiare la legge, sbandierando il provvedimento come un grande momento di giustizia. Banalmente, perché il lavoro della Cassazione è quello di interpretare le leggi. In questo caso, invece, il meccanismo è saltato. Ed è saltato intorno alla metà di luglio, quando Alfredo Mantovano - plenipotenziario di Giorgia Meloni in tema di giustizia - ha deciso di rispondere per le rime al Guardasigilli Carlo Nordio, reo di aver detto che il concorso esterno in associazione mafiosa non può restare - questo no - in mano alle libere interpretazioni e alle prassi, come accade ora, ma va normato. 

C'è, quindi, innanzitutto un nodo che riguarda il tempismo con cui questo decreto arriva. Come nota bene il professor Gatta: "Da osservatore del dibattito politico sulla giustizia mi pare piuttosto evidente la coincidenza tra l’annuncio di questo intervento legislativo – su una questione da addetti ai lavoro, molto tecnica e circoscritta, per quanto rilevante – e la necessità di gettare acqua sul fuoco dopo le dichiarazioni del Ministro Nordio sul concorso esterno in associazione mafiosa, definito un “ossimoro”. A me pare che con questo intervento si sia trovata un’occasione per confermare l’impegno del Governo contro la criminalità organizzata dopo le dichiarazioni del Ministro Nordio, che a molti sono parse per contingenze temporali inopportune, alla vigilia della ricorrenza della strage di via D’Amelio. Per non tacere poi del fatto che sarebbe interessante chiedere al Ministro Nordio come mai nell’articolo 47 del progetto di riforma del codice penale, realizzato dalla Commissione che ha presieduto quasi vent’anni fa, le disposizioni sul concorso di persone nel reato venivano estese ai reati associativi. Basta leggere la sentenza Mannino delle Sezioni Unite per trovare questo riferimento al progetto Nordio. Se davvero si trattasse di un “ossimoro”…perché la Commissione presieduta da Nordio voleva addirittura codificarlo?".

La decisione che il governo si accinge a varare lunedì resterà probabilmente ignota ai profani, ma pare eclatante ad la scelta di cambiare la legge - il legislatore fa anche questo - nè di precisarne l'interpretazione. Cosa altrettanto legittima. Perplessità suscita lo strumento che sarà usato: "Sul piano tecnico, va detto che il legislatore ben può modificare la legge di cui si tratta o adottare una norma di interpretazione autentica, per vincolare l’interpretazione giurisprudenziale e chiarire l’originario significato della legge. Andrà però valutata e motivata bene la sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza che giustificano il ricorso alla decretazione d’urgenza. Qui vedo due elementi problematici: la sentenza di cui si tratta non è fresca di deposito (risale a quasi un anno fa) ed è di una sezione semplice, non delle sezioni unite. C’è poi un altro aspetto problematico che dovrà essere valutato molto bene, sempre nella prospettiva della legittimità costituzionale dell’intervento. Se si vuole essere garantisti bisogna esserlo sempre e fino in fondo, anche rispetto agli indagati per i reati più gravi. Ebbene, i presupposti legali per la limitazione della riservatezza, conseguente a un’intercettazione, devono esistere nel momento in cui essa viene autorizzata dal giudice. Il rischio è che si parli ora di una interpretazione autentica di una legge che esiste da venti o trent’anni per far retroagire, nei processi in corso, una regola in realtà nuova che renda utilizzabili intercettazioni ab origine illegittimamente disposte. Questo non sarebbe a mio avviso ammissibile ed è il profilo più problematico su cui a mio avviso è bene che, nel predisporre la norma, il Governo rifletta bene".

Mantovano ha annunciato questo provvedimento pochi giorni prima dell'anniversario della strage di via D'Amelio. Oltre che voler dare una risposta a Nordio, lo ha motivato dicendo che chi combatte la criminalità organizzata era molto preoccupato per questa sentenza della Cassazione. Proprio per tendere la mano al quel mondo, il governo ha preso in mano la norma e si accinge a cambiarla. O precisarla, a seconda di come si voglia interpretare la faccenda. Ci troveremo, quindi, davanti a una specie di interpretazione autentica, che ci può anche stare - magari meglio se con un tempismo diverso e per altre materie - fatta però con un decreto legge. Non si può non notare come a essere presa di mira non è una sentenza delle Sezioni unite, ma quella di una sezione semplice. L'idea che si dà è che il governo intervenga su una norma solo perché non gli piace. Per il professore Gatta più che una questione di merito è una questione di opportunità: "Per la nostra Costituzione il giudice è soggetto soltanto alla legge. Se le norme, come interpretate, non piacciono al legislatore, questi le può modificare, nel rispetto ovviamente dei principi costituzionali. Il punto è però a mio avviso quello dell’opportunità, ancor più in un momento di rinnovata tensione dei rapporti tra politica e magistratura: l’interpretazione fa parte della fisiologia del diritto e la formazione di orientamenti giurisprudenziali procede per passi, avanti e indietro, trovando un momento fondamentale nelle pronunce delle sezioni unite della Cassazione, che intervengono quando sorge un contrasto o per prevenirlo. Esiste, insomma, nel sistema giudiziario, una via ordinaria per risolvere le questioni interpretative, senza l’intervento di una legge di interpretazione autentica, che è evento assai raro, specie nel penale".

Se la portata della cosa non è chiara, si leggano le parole di Giorgia Meloni del 17 luglio: "Si rende necessaria e urgente l'adozione da parte del governo di una norma di interpretazione autentica, che chiarisca una volta per tutte cosa debba intendersi per 'reati di criminalita' organizzatà e che eviti che gravi reati vadano impuniti per effetto dell'interpretazione di recente avanzata dalla Corte di Cassazione. L'intenzione, d'intesa col ministro della Giustizia, è di inserire questa norma in un decreto legge di prossima approvazione". Ci sarebbe da spiegare che i "gravi reati", se sono tali - e un omicidio lo è - saranno puniti anche se il giudice non li fa rientrare nell'ambito dell'associazione mafiosa. Solo, gli strumenti di indagine saranno diversi, diverse magari le pene, diverso la classificazione del contesto. Può destare stupore e disappunto, ma non è detto che sia sbagliato. 

Nell'attesa di leggere il decreto legge, resta la sorpresa per il modus operandi del governo. Ma era mai successo prima? Un paio di volte, ma su materie di portata minore: "Per punire il furto dell’energia elettrica, che non è una “cosa” mobile, il codice penale del 1930 precisò che ai fini della legge penale si considera cosa mobile anche l’energia elettrica. Vent’anni fa, poi, il legislatore, intervenendo qualche anno dopo la riforma del reato di usura del 1996, precisò con un decreto legge il concetto di interessi usurari", ricorda il professore.

 

Da www.huffingtonpost.it

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